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D.Lvo 11/05/1999 n. 152

d) le acque dolci superficiali che, ancorché non comprese nelle precedenti categorie, presentino un rilevante interesse scientifico, natura listico, ambientale e produttivo in quanto costituenti habitat di specie animali o vegetali rare o in via di estinzione, ovvero in quanto sede di complessi ecosistemi acquatici meritevoli di conservazione o, altresì, sede di antiche e tradizionali forme di produzione ittica, che presentano un elevato grado di sostenibilità ecologica ed economica.

2. Sono escluse dall’applicazione del presente articolo e degli articoli 11, 12 e 13, le acque dolci superficiali dei bacini naturali o artificiali utilizzati per l’allevamento intensivo delle specie ittiche, nonché i canali artificiali adibiti a uso plurimo, di scolo o irriguo, e quelli appositamente costruiti per l’allontanamento dei liquami e di acque reflue industriali.

3. Le acque dolci superficiali che presentino valori dei parametri di qualità conformi con quelli imperativi previsti dalla tabella 1/B dell’allegato 2, sono classificate, entro quindici mesi dalla designazione, come acque dolci “salmonicole” o “ciprinicole”.

4. La designazione e la classificazione ai sensi dei commi 1 e 3 sono effettuate dalle regioni, ricorrendone le condizioni, devono essere gradualmente estese sino a coprire l’intero corpo idrico, ferma restando la possibilità di designare e classificare nell’ambito del medesimo, tratti come “acqua salmonicola” e tratti come “acqua ciprinicola”.

5. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità delle acque, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

11. Successive designazioni e revisioni

1. Le regioni sottopongono a revisione la designazione e la classificazione di alcune acque dolci idonee alla vita dei pesci in funzione di elementi imprevisti o sopravvenuti.

12. Accertamento della qualità delle acque idonee alla vita dei pesci (omissis)

13. Deroghe (omissis)

14. Acque destinate alla vita dei molluschi (omissis)

15. Accertamento della qualità delle acque idonee alla vita dei molluschi (omissis)

16. Deroghe (omissis)

17. Norme sanitarie (omissis) Titolo III - Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento

18. Aree sensibili

1. Le aree sensibili sono individuate secondo i criteri dell’allegato 6.

2. Ai fini della prima individuazione sono designate aree sensibili:

a) i laghi di cui all’allegato 6, nonché i corsi d’acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

b) le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa-Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po;

c) le zone umide individuate ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448;

d) le aree costiere dell’Adriatico nordoccidentale dalla foce dell’Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e i corsi d’acqua a essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa.

3. Resta fermo quanto disposto dalla legislazione vigente relativamente alla tutela di Venezia.

4. Sulla base dei criteri stabiliti nell’Allegato 6 e sentita l’Autorità di bacino, le regioni, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, possono designare ulteriori aree sensibili ovvero individuano all’interno delle aree indicate nel comma 2, i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili.

5. Le regioni, sulla base di criteri previsti dall’Allegato 6, delimitano i bacini drenanti nelle aree sensibili che contribuiscono all’inquinamento di tali aree.

6. Ogni quattro anni si provvede alla reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all’inquinamento delle aree sensibili.

7. Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei commi 4 e 6 devono soddisfare i requisiti dell’articolo 32 entro sette anni dall'identificazione.

19. Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola

1. Le zone vulnerabili sono individuate secondo i criteri di cui all’allegato 7/A-I.

2. Ai fini della prima individuazione sono designate zone vulnerabili le aree elencate nell’allegato 7/A-III.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sulla base dei dati disponibili, e per quanto possibile sulla base delle indicazioni stabilite nell’allegato 7/A-I, le regioni, sentita l’Autorità di bacino, possono individuare ulteriori zone vulnerabili ovvero, all’interno delle zone indicate nell’allegato 7/A-III, le parti che non costituiscono zone vulnerabili.

4. Almeno ogni quattro anni le regioni, sentita l’Autorità di bacino, rivedono o completano le designazioni delle zone vulnerabili per tener conto dei cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente designazione. A tal fine le regioni predispongono e attuano, ogni quattro anni, un programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci per il periodo di un anno, secondo le prescrizioni di cui all’allegato 7/A-I, nonché riesaminano lo stato eutrofico causato da azoto delle acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine costiere.

5. Nelle zone individuate ai sensi dei commi 2, 3 e 4 devono essere attuati i programmi di azione di cui al comma 6, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole in data 19.4.1999, pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 102 del 4.5.1999.

6. Entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto per le zone designate ai sensi dei commi 2 e 3 ed entro un anno dalla data di designazione per le ulteriori zone di cui al comma 4, le regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui all’allegato 7/A-IV, definiscono ovvero rivedono, se già posti in essere, programmi d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola, e provvedono alla loro attuazione nell’anno successivo per le zone vulnerabili di cui ai commi 2 e 3 e nei successivi quattro anni per le zone di cui al comma 4.

7. Le regioni provvedono, inoltre, a:

a) integrare, se del caso, in relazione alle esigenze locali, il codice di buona pratica agricola, stabilendone le modalità di applicazione;

b) predisporre ed attuare interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice di buona pratica agricola;

c) elaborare ed applicare entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 6, i necessari strumenti di controllo e verifica dell’efficacia dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti; ove necessario, modificare o integrare tali programmi individuando, tra le ulteriori misure possibili, quelle maggiormente efficaci, tenuto conto dei costi di attuazione delle misure stesse.

8. Le variazioni apportate alle designazioni, i programmi di azione, i risultati delle verifiche dell’efficacia degli stessi e le revisioni effettuate devono essere comunicati al Ministero dell’ambiente, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 3, comma 7. Al Ministero per le politiche agricole è data tempestiva notizia delle integrazioni apportate al codice di buona pratica agricola di cui al comma 7, lettera a) nonché degli interventi di formazione e informazione.

9. Al fine di garantire un generale livello di protezione delle acque il codice di buona pratica agricola è di raccomandata applicazione al di fuori delle zone vulnerabili.

20. Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e altre zone vulnerabili

1. Con le modalità previste dall’articolo 19 e sulla base delle indicazioni contenute nell’Allegato 7/B, le regioni identificano le aree di cui all’articolo 5, comma 21, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri comparti ambientali dall’inquinamento derivante dall’uso di prodotti fitosanitari.

2. Le regioni e le autorità di bacino verificano la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione e le designano quali aree vulnerabili alla desertificazione.

3. Per le aree di cui al comma 2, nell’ambito della pianificazione di bacino e della sua attuazione, sono adottate specifiche misure di tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d’Azione Nazionale di cui alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 1999.

21. Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano

1. Su proposta delle autorità d’ambito, le regioni per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all’interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione.

2. Per gli approvvigionamenti diversi da quelli di cui al comma 1, le autorità competenti impartiscono, caso per caso, le prescrizioni necessarie per la conservazione, la tutela della risorsa e il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque destinate al consumo umano.

3. Per la gestione delle aree di salvaguardia si applicano le disposizioni dell’art. 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e le disposizioni dell’art. 24 della stessa legge, anche per quanto riguarda eventuali indennizzi per le attività preesistenti.

4. La zona di tutela assoluta è costituita dall’area immediatamente circostante le captazioni o derivazioni; essa deve avere un’estensione in caso di acque sotterranee e, ove possibile per le acque superficiali, di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione, deve essere adeguatamente protetta e adibita esclusivamente a opere di captazione o presa e a infrastrutture di servizio.

5. La zona di rispetto è costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata e può essere suddivida in zona di rispetto ristretta e zona di rispetto allargata in relazione alla tipologia dell’opera di presa o captazione e alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa. In particolare nella zona di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività:

a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurati;

b) accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi;

c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l’impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche;

d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche provenienti da piaz zali e strade;

e) aree cimiteriali;

f) apertura di cave che possono essere in connessione con la falda;

g) apertura di pozzi a eccezione di quelli che estraggono acque desti nate al consumo umano e di quelli finalizzati alla variazione dell’estrazione e alla protezione delle caratteristiche qualiquantitative della risorsa idrica;

h) gestioni di rifiuti;

i) stoccaggio di prodotti ovvero sostanze chimiche pericolose e so stanze radioattive;

l) centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli;

m) pozzi perdenti;

n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. È comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.

 

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